L’Inter si presentava a Torino per cercare un’occasione di rilancio dopo lo scialbo pareggio a reti inviolate contro il Sassuolo. La formazione di Mazzarri, dall’altra parte, voleva confermare lo status di “bestia nera” dei nerazzurri dato che l’ultima vittoria dell’Inter al Comunale risale all’8 Novembre 2015.
Formazioni a specchio
Nessuna novità di formazione per Mazzarri che schierava un usuale 3-5-2, in cui una nota di rilievo va dedicata alla posizione di Ansaldi che agiva come mezz’ala ai fianchi di Rincon e Lukic, mentre Ola Aina e De Silvestri erano deputati al ruolo di “tuttafascia”. Davanti, invece, Belotti veniva accompagnato da Zaza.
Spalletti, come già ideato nella partita d’andata, un po’ per convenienza, un po’ per necessità – con Perisic escluso per ragioni di mercato e Keita ancora indisponibile – ha proposto una formazione a specchio in cui Skriniar, Miranda e De Vrij rappresentavano il trio difensivo. A centrocampo si disegnava un triangolo con Brozovic e Vecino alle spalle di Joao Mario, ai lati agivano D’Ambrosio e Dalbert, mentre, davanti, Icardi e Lautaro tenevano impegnati i tre difensori granata Djidji-N’Koulou-Izzo.
Come detto, quindi, quello dell’Inter non era un 3-5-2 puro perché Joao Mario, almeno in fase di non possesso, si alzava sulla zona di Rincon per ostacolarne le ricezioni.

In realtà, però, il pressing nerazzurro non è stato molto aggressivo considerato che il Torino non ha tendenzialmente nelle proprie corde la costruzione dal basso, nonostante potesse vantare una superiorità numerica in fase di inizio azione: i 28 passaggi lunghi sui 32 totali di Sirigu (rispetto agli 11 su 30 di Handanovic) e il 66% di precisione nei passaggi rappresentano degli indici importanti per fotografare la natura della squadra di Mazzarri, la quale cerca il più rapidamente possibile i riferimenti verticali con i propri centravanti.
La pressione del Torino
I granata, dall’altra parte, avevano appositamente studiato un sistema di pressing per ostacolare l’uscita palla a terra dei nerazzurri e annullare con efficacia gli effetti della loro superiorità numerica: al termine dell’incontro, il numero medio di passaggi interisti nella propria metà campo prima di un intercetto avversario sarà di 9.53, relativamente basso rispetto ad una media, in campionato, di 15.29.
Nello specifico, Ansaldi si dedicava alla marcatura a uomo su Brozovic, le punte si orientavano su due dei tre centrali, mentre sul terzo rimanente spesso usciva il mediano Rincon.
Questa aggressività dei granata in fase di pressing avrebbe potuto creare degli scompensi una volta superata la prima linea di pressione da parte dell’Inter ma Mazzarri aveva ideato per l’occorrenza un meccanismo che prevedeva di indirizzare la prima manovra nerazzurra sul centro-sinistra per sfruttare i difetti tecnici di Miranda, dei tre centrali nerazzurri quello meno portato alla fase di impostazione. Quando i granata riuscivano in questo intento, facevano partire un sistema di scalate in cui Rincon si alzava sul difensore brasiliano mentre Izzo (indottrinato alla cultura dell’anticipo fin dai suoi trascorsi alla corte del Genoa di Gasperini, allenatore che rispetto a Mazzarri ricorre in maniera ancora più evidente alla marcatura a uomo) accorciava prontamente su Joao Mario.
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Il meccanismo che permetteva al Torino di essere sempre aggressivo sulla costruzione nerazzurra.
Il numero 5 del Torino, oltre ad aver messo a segno il gol del definitivo vantaggio – sul quale, tuttavia, Handanovic e D’Ambrosio non sono sembrati esenti da colpe – si è confermato, ancora una volta, perfetto per il gioco senza palla del Torino basato essenzialmente sulla fisicità e sulla conquista delle seconde palle, vincendo ben 6 duelli aerei (il numero più alto tra i giocatori di entrambe le squadre).
In questo senso va interpretato, poi, il tentativo del Toro di forzare i nerazzurri al lancio lungo e sfruttare la fisicità dei propri uomini più arretrati: il risultato finale infatti sarà di 73 lanci lunghi effettuati dai nerazzurri, rispetto ad una media stagionale di 55.

Le difficoltà dell’Inter in fase di possesso
Quelle poche volte, quindi, in cui i nerazzurri riuscivano a risalire il campo palla a terra, cercavano di manovrare specialmente dal lato sinistro dove Joao Mario si abbassava per offrire a Dalbert una possibilità di scarico mentre sulla destra l’Inter cercava di rifinire l’azione attraverso gli inserimenti di Vecino e alla presenza di D’Ambrosio che restava spesso largo per garantire ampiezza in fase offensiva: la larghezza media della formazione di Spalletti, infatti, si è assestata attorno ai 41.32 metri in fase di possesso, rispetto ai 32 di quella di Mazzarri.

L’azione del gol sfiorato da Lautaro dopo 3 minuti, poi, è un esempio di quali fossero i movimenti richiesti in fase offensiva: per smuovere la difesa granata, che in fase di non possesso era composta da cinque uomini, diventava fondamentale che una delle due punte effettuasse un movimento incontro al pallone per smuovere la difesa avversaria e creare i presupposti per l’attacco alla profondità dell’altro centravanti. Solitamente, poi, si cercava di premiare le sovrapposizioni dei “quinti” (D’Ambrosio e Dalbert) che rimettevano il pallone in area la quale, nel frattempo, era stata riempita anche dall’arrivo di una o di entrambe le mezz’ali.
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Tuttavia, gli esiti di tentativi come questo non sono stati sufficienti a regalare il vantaggio ai nerazzurri, a volte perché i granata assorbivano prontamente gli inserimenti dei nerazzurri, mentre altre volte a causa delle scarsa qualità tecnica di alcune giocate nerazzurre nella fase di rifinitura.
In particolare, le difficoltà incontrate dell’Inter, per gran parte della gara, sono state di duplice natura: da una parte Dalbert e D’Ambrosio rimanevano troppo spesso isolati sulle fasce sia perché il Torino aveva come primo scopo quello di negare ai nerazzurri le manovre centrali (Dalbert è stato il secondo giocatore con più tocchi nell’arco della gara, 93) sia perché, frequentemente, non si creavano sufficienti linee di passaggio per consolidare il possesso e di conseguenza emergevano i limiti tecnici degli uomini di fascia, entrambi a secco per numero di dribbling riusciti su un totale di 1 per il brasiliano e 2 per il numero 33 nerazzurro.
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Una compilation sulle difficoltà dell’Inter nel risalire il campo con i laterali.
Queste considerazioni ci portano ad un altro problema incontrato dai nerazzurri, ovvero, quello delle mezz’ali. Joao Mario, in particolar modo, ha sofferto parecchio in un contesto in cui sia le spaziature tra i compagni, che le zone di campo da occupare individualmente si sono ampliate. Il coinvolgimento nella manovra, infatti è stato abbastanza limitato (solo 37 passaggi effettuati rispetto ad una media in stagione di 59.7) e a risentirne è stata anche la precisione della sua manovra (75% di passaggi riusciti rispetto ad un valore medio dell’85%).
Come si era fatto notare, poi, nell’analisi sulla stagione del portoghese, le sue prestazioni sembrano molto dipendenti dal contesto in cui viene inserito, in particolare il ruolo di mezz’ala nel 4-3-3 aveva esaltato le sue doti associative, in cui giocavano un ruolo fondamentale la sua abilità nel ripulire palloni e l’intesa con Politano (altro giocatore che dà il meglio di sé in una struttura collettiva di gioco).
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I problemi di Joao Mario in spazi larghi.
Il fatto, poi, che il maggior numero di palloni persi sia stato proprio ad opera di entrambe le mezz’ali (4 ex aequo per Joao Mario e Vecino) denota come l’Inter abbia fatto molta fatica a risalire il campo con gli uomini che invece avrebbero dovuto dare qualità e dinamicità alla fase di possesso.
Nel secondo tempo, dopo 10 minuti di gioco, Spalletti optava per l’inserimento di Nainggolan al posto di Miranda e veniva, così, a formarsi un 4-3-1-2 in cui il belga ricopriva la posizione di vertice alto nel rombo di centrocampo alle spalle di Icardi e Lautaro. Nonostante la scelta di rimpolpare la zona centrale del campo con un giocatore fisico avrebbe potuto creare qualche scompiglio alla formazione di Mazzarri, nei fatti l’Inter non è riuscita a creare occasioni degne di nota producendo la pochezza di 0.13 expected goals rispetto agli 0.62 del primo tempo (la sfida, da questo punto di vista avrebbe dovuto finire 0.66 a 0.75 per l’Inter).
Oltre a questo, poi, anche nella ripresa si sono ripetute le stesse difficoltà della prima frazione con Joao Mario e Vecino ancora non in grado di incidere sul ritmo della partita, i terzini che continuavano a rimanere troppo isolati in azioni individuali fini a se stesse e la coppia di centravanti che non riceveva sufficiente assistenza. Questo framework non ha potuto che avvantaggiare il Torino che, col passare del tempo, ha cominciato ad assaporare la vittoria. Nemmeno l’ingresso di Politano è riuscito a cambiare l’inerzia della gara. L’ala romana si è posizionata sulla destra e il suo ingresso ha disegnato un ulteriore cambio di assetto con il ritorno al tradizionale 4-3-3. La sua espulsione, poi, all’86° per insulti all’arbitro, ha definitivamente spento qualsiasi velleità di rimonta tra i nerazzurri.
Il momento dell’Inter
Il Torino di Mazzarri, quindi, seppur con un gioco speculativo e dall’impronta reattiva (in piena continuità con la vecchia scuola di allenatori italiani) ha nuovamente tratto in trappola i nerazzurri che, per adeguarsi all’avversario, sono sembrati aver perso le coordinate del proprio gioco.
Questa partita, in particolare, ha confermato il momento non troppo esaltante per i nerazzurri che hanno riproposto, con Sassuolo e Torino, alcune delle difficoltà messe in evidenza nelle prime due partite di andata.
Come tutti gli allenatori, poi, anche Spalletti sembra soffrire, in modo particolare, il periodo del mercato invernale in cui le voci di possibili partenze o arrivi hanno probabilmente minato la serenità dell’ambiente nerazzurro.
Prima della sfida, l’A.d. Marotta, intervistato sul caso Perisic ha annunciato che il croato ha chiesto espressamente di essere ceduto in Premier (si parla di sondaggi dell’Arsenal). Una situazione che comunque dovrà essere risolta per il bene del giocatore ma soprattutto della società nerazzurra che si trova a dover rimpiazzare un titolare della propria rosa a pochissimi giorni dal termine del mercato invernale, che notoriamente non offre grandi possibilità per trovare dei sostituti di qualità.
In tutto questo, il campo dice che la squadra continua ad avere difetti strutturali a centrocampo e nella trasferta di Torino questi sono emersi con ancor più evidenza.
Ora la banda Spalletti è attesa dal turno dei quarti di finale di Coppa Italia in casa contro la Lazio, inutile dire che quella gara costituirà un altro importante banco di prova per l’Inter, che dovrà cercare di rimanere impegnata su più fronti possibili se vorrà provare ad alimentare quel famoso detto secondo il quale “Vincere aiuta a vincere”.
I dati presenti in questo articolo sono tratti da Understat, Whoscored e Lega Serie A Tim.