“Quando fai una prestazione del genere ci sono errori da più parti, il problema non è di un solo reparto. – ha aggiunto il tecnico nerazzurro nell’analizzare il risultato – Abbiamo fatto un errore che ci è costato il gol, poi è stato sbagliato qualche pallone di troppo e non siamo stati neanche fortunati nelle occasioni. Quando ci siamo allungati loro si sono dimostrati più forti di noi”. Ogni passaggio del commento di Luciano Spalletti va analizzato a fondo per spiegare la prestazione di ieri, che risulta difficile da sviscerare da un punto di vista oggettivo dei fatti e dei numeri, beffardi nella loro lettura.
Inizio promettente
L’Inter della trentasettesima giornata a Napoli ha, tuttavia, approcciato la partita in maniera motivata, tentando di dare continuità alla sua organizzazione nella costruzione del gioco sin dagli interpreti difensivi, con l’abbassamento consueto sulla linea dei difensori centrali di Brozovic, per poi cercare verticalità attraverso l’ampiezza.
Emerge qui una prima contraddizione tattica: la ricerca di un gioco simile rende Nainggolan un fantasma in fase di costruzione in quanto spesso ritrovatosi perso tra le linee avversarie andando ad occupare uno spazio in maniera statica e sin troppo intercettabile il centrocampo del Napoli, oltre che di scarso supporto anche per Lautaro Martinez, che si perderà nel corso del primo tempo tra le maglie di Koulibaly e Albiol. L’estensione del gioco nei corridoi laterali trova degna espressione nel solo Politano, il quale ad inizio partita si procura una punizione con una giocata singola degna di nota su Koulibaly e che consente un fraseggio più fluido sulla catena di destra, zona del campo coperta meglio e che ha consentito ottimi sviluppi della manovra nerazzurra quest’anno. A differenza della catena di sinistra dove, in maniera sterile, Perisic si ritrova spesso in una posizione così esterna, leggibile, tanto da dover spesso ricorrere ad un retropassaggio verso Asamoah e conseguente cambio lato sulla fascia destra passando per la zona centrale del campo, spesso causando anche la perdita di importanti tempi di gioco. La fascia sinistra di quest’anno, se non in rare occasioni, è stata utile come partizione di campo di appoggio su cui far oscillare la squadra avversaria per poi innescare dalla parte opposta del campo Politano, che spesso è riuscito ad essere una fonte di gioco più concreta e fantasiosa dell’esterno croato. La chiave di volta del primo tempo – e dell’intera partita – è stata il passaggio errato di Asamoah verso la zona centrale della propria metà campo, che vede Nainggolan inseguire il repentino scambio sui 25 metri da parte dei giocatori del Napoli. Il resto è pura capacità balistica di Zielinski, sui cui Handanovic nulla può.
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Il siluro di Zielinski che porta avanti gli azzurri.
Al di là della responsabilità personale della giocata e del buon avvio, l’intera squadra sino al 15′ non aveva espresso con troppa convinzione il suo potenziale; sarebbe bastata dunque una minima incertezza per minare un equilibrio troppo labile non tanto sul lato tattico, piuttosto su quello mentale. Analizzando la sfida e prestando attenzione all’atteggiamento posturale di ciascun singolo, in pochi mostravano un atteggiamento adatto alla caratura dell’impegno ed emblematica è la prestazione di Brozovic, ieri spettro di quello del mondiale 2018 e di questa annata calcistica. Il croato è sembrato in totale balia degli eventi e ciondolante come nei suoi peggiori momenti delle annate passate. Come ampiamente trattato in questo articolo sull’interpretazione dal punto di vista psicologico della flessione nell’arco della Bundesliga appena conclusa dal Borussia Dortmund, l’innesco – nel caso specifico, l’errore di Asamoah – può essere interpretato come un evento scatenante del collasso che abbia un effetto contagio, una sorta di connessione neurale tra i giocatori, atta ad innestare l’incertezza comportamentale di tutta la squadra.
Questo discorso prescinde da ciò che ad oggi risulta analizzabile con certezza, non consentendoci di imbastire un discorso approfondito per cui sarebbe necessario conoscere la sfera emozionale di ciascun calciatore e tutte le determinanti del suo comportamento e della sua sfera cognitiva. Ma è sufficiente sapere che la rosa dell’Inter non abbia mai fatto un vero e proprio salto qualitativo in questi due anni, se non in maniera discontinua o solo sotto alcuni aspetti che riguardano l’organizzazione tattica a cui vanno riconosciuti diversi meriti a Spalletti. Seppur, non si sia mai stati in grado di chiudere delle situazioni che potessero essere critiche, arrivando spesso ad un àut àut necessariamente da affrontare con il coltello tra i denti e con un rischio concreto di fallimento. Una situazione familiare al tecnico di Certaldo che nell’ultima annata alla Roma e nella prima stagione all’Inter ha ottenuto la qualificazione alla Champions (nel primo caso evitando i gironi) solamente all’ultima giornata, subendo prolungati periodi di flessione.
Squadra spezzata
Il secondo tempo si apre con l’ingresso di Icardi per Politano ed il contestuale passaggio ad un 3-5-2 che ha visto D’Ambrosio allinearsi nei tre di difesa e Perisic esterno destro nel centro campo a 5; Brozovic, Gagliardini e Nainggolan a coprire la fascia centrale del campo. Un modulo che avrebbe dovuto creare maggiore densità nella zona centrale ed avrebbe dovuto aiutare a tenere più bassi i terzini del Napoli. La manovra dell’Inter è però sin troppo imprecisa, scarsamente fluida ed insieme ad essa la capacità decisionale nella trequarti di campo avversaria sempre latente, nonostante alcune triangolazioni ad inizio del secondo tempo che comunque non si sono concluse con esito sperato.
Risulta evidente che anche con il cambio di modulo la squadra sia posizionata male, soprattutto con l’ulteriore sbilanciamento causato dall’ingresso di Vecino al posto di Gagliardini, scelto per la sua abilità di inserimento nell’area di rigore avversaria. Ne deriva una serie di scollamenti tra reparti ancora più marcati rispetto alla prima frazione.

Non solo l’aumento delle distanze tra reparti e linee verticali del campo, ma una serie ripetuta di errori di tattica individuale e di imprecisione commessi da ciascun giocatore hanno fatto saltare il banco della partita, consentendo al Napoli di suggellare la vittoria con 3° e 4° gol.

Nel mezzo, reazioni confuse dell’Inter che, spinta più dall’inerzia che da una vera e propria organizzazione offensiva, si fionda in area con scarsa precisione e con le idee poco chiare.
Esaminando i dati della partita, tali risultano bugiardi rispettivamente al risultato ed alla prestazione qualitativa dell’Inter.
L’Inter primeggia sul Napoli per xG e tiri, oltre che per possesso palla e precisione nei passaggi.

Se un osservatore non avesse visto la partita e si limitasse ad interpretare questi numeri, non potrebbe mai credere al risultato finale e, addirittura, davanti al dato sulla precisione dei passaggi, pensare che l’Inter abbia avuto anche l’atteggiamento giusto per affrontarla.
Fragilità universali
“Il problema non è di un solo reparto” ha affermato Luciano Spalletti come riportato ad inizio articolo, e lo si è visto in più frangenti della partita e dell’intera stagione che sta volgendo al termine, tanto da far passare l’analisi tattica e la lettura situazionale del gioco in secondo piano. Esaminando i singoli, emerge una sorta di fragilità decisionale che può essere innescata da diversi fattori. Uno su tutti – secondo un criterio di oggettività – è lo storico di questa Inter: grava in maniera troppo pesante il passato recente su questa rosa, che si ritrova il peso del raggiungimento di un obiettivo minimo come una croce da portare più che un successo da raggiungere. Di materiale ce ne sarebbe a iosa per giustificare l’operato della squadra in campo come naturale riflesso di un’annata di gestione societaria turbolenta, incluse le voci di programmazione sul futuro; ma le sporadiche prestazioni di spessore, venute fuori soprattutto negli scontri diretti – fatta eccezione per sconfitta con il Napoli – ci consentono di mettere da parte l’instabilità ambientale come alibi.
Risulta però complesso poter attribuire dei pesi sulle responsabilità extra-campo essendo a conoscenza spesso di una realtà parziale. Unica variabile parlante dunque rimane il campo, che esprime un verdetto importante: per il secondo anno, nonostante una campagna acquisti in linea con le richieste e le ambizioni tecniche programmatiche, l’Inter si gioca il suo accesso alla prossima edizione di Champions League all’ultima giornata, depauperando un vantaggio consistente accumulato nella prima parte di stagione ed annientando quanto di buono fatto e raccolto dai gironi di Champions.
I numeri di questa stagione non si discostano parecchio dall’annata passata, dal secondo anno del Mancini bis e dal primo anno di Walter Mazzarri, con la sola eccezione di possedere patrimoni importanti come Skriniar e De Vrij (non a caso appartenenti entrambi al reparto che ha mostrato più continuità, contando anche le 17 reti inviolate di Handanovic). Il post Moratti è stato un periodo di assestamento duro, e parte degli elementi di questa rosa appartiene al medioevo economico e sportivo della storia recente; non si è fatto un salto significativo e molti giocatori hanno mostrato già il meglio della loro carriera calcistica, dimostrandosi anche non adatti per un upgrade. Un discorso da estendere a Spalletti ed alla sua sapienza che è risultata utile nell’annata 2017/18 per consentire ad una rosa rimaneggiata di ottenere un obiettivo che sembrava quasi sfumato dopo la sconfitta interna con il Sassuolo, ma che non è stato in grado nella stagione corrente di poter dare un equilibrio nel campo e nello spogliatoio.
Un pensiero riguardo “Napoli-Inter: molto nero, poco azzurro”