Quando il lunedì mattina la professoressa di geografia astronomica si presentò alla prima ora col ghigno enigmatico e comunicò a tutti che ci sarebbe stato un compito a sorpresa tutti noi ci ricordammo di cosa non avevamo fatto quel week end: studiare.
Non era facile essere preparati in quei giorni, perché il derby che andava in scena la domenica sera rischiava seriamente di diventare una pietra miliare nella storia delle due compagini milanesi, pronte a chiudere un capitolo e ad aprirne un altro.
Si dice infatti che un derby non è una partita come le altre, ma spesso si dimentica di sottolineare che nemmeno tutti i derby sono uguali. Quello del 2005/06, lo si capiva, avrebbe potuto cambiare tutto.
Ma perché quella partita era così importante?
Visto a tanti anni di distanza, il contesto storico dell’epoca appare impietoso per i nerazzurri: ultimo derby vinto nel 2002 con una zampata di Christian Vieri e poi una serie di amarezze difficili da digerire, come l’eliminazione con due pareggi in una semifinale di Champions (che di fatto ha cambiato per sempre le carriere di Cuper e Ancelotti, fino a quel punto identiche), due sconfitte nell’anno dello scudetto rossonero, una con l’esordio esplosivo di Ricardo Kaka e l’altra in rimonta dopo essere stati in vantaggio di due gol, la sfortunatissima deviazione involontaria dello stesso Kaka che pone fine alla striscia di imbattibilità del primo Mancini, prima di un’altra eliminazione in Champions, questa volta ai quarti.
Ma allora cosa c’era di ottimistico in quel derby dell’inverno 2005?
Qualcosa nell’aria stava cambiando: Roberto Mancini e un gioco molto più equilibrato avevano riportato entusiasmo nell’ambiente. Inoltre, l’Inter aveva appena conquistato la quarta Coppa Italia della sua storia, primo trofeo dopo la Coppa Uefa ’98, e si era imposta al Delle Alpi di Torino sulla Juve di Capello portandosi a casa la Supercoppa. Il Milan, invece, arrivava dal capitolo più difficile della sua storia, ovvero la finale di Champions League di Istanbul, con la coppa dalle grandi orecchie sfuggita via dopo un primo tempo chiuso sul 3-0, una sorta di 5 maggio interista elevato all’ennesima potenza.
Quella sera dell’11 dicembre, dunque, nonostante le amarezze degli ultimi tempi, gli equilibri erano cambiati. Lo sentivano i milanisti, lo sentivano gli interisti, lo sentivano i giornalisti, lo sentivano tutti. Tutti, tranne la professoressa di geografia astronomica.
La partita
Rivedendo quella partita 13 anni dopo si ha l’occasione di portare alla luce importanti spunti tattici.
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Il film della partita
Il primo riguarda il centrocampo in linea: Mancini, infatti, nonostante abbia più volte provato il rombo anche in altri match, schiera la sua Inter con il 4-4-2: Julio Cesar tra i pali, Zanetti e Favalli i terzini, Samuel e Cordoba i centrali difensivi, Stankovic, Cambiasso, Veron e Figo in mediana e Adriano e Martins in attacco. Sebbene il settore centrale sia stato spesso modellato sul rombo con gli stessi elementi, il tecnico jesino opta per la linea a due, con i due argentini centrali e con Figo e Stankovic che giocano a fasce invertite rispetto al solito, sulla sinistra il portoghese e sulla destra il serbo.
Trequartista e due punte per Ancelotti, con Kaka a svariare tra le linee dietro la coppia Sheva–Gilardino, anche se la curiosità maggiore riguarda Jaap Stam, schierato ineditamente come terzino sinistro in una difesa con Kaladze e Nesta centrali e Serginho esterno destro. L’olandese si troverà spesso a doversi sobbarcare l’onere dell’uno contro uno con Luis Figo.

L’Inter inizia bene e passa in vantaggio con Adriano dal dischetto, un calcio di rigore molto generoso che fa il paio con quello poi fischiato dall’altro lato del campo e che vale il pareggio del solito Sheva, una di quelle bestie storiche della retroguardia nerazzurra.
Quel che sorprende, e che va ben oltre i ricordi, è la quantità fornita dalla coppia Veron-Cambiasso e la profondità di Martins:
Quantità e non qualità, perché quando si parla di calciatori dalla caratura tecnica del cuchu e della Brujita la qualità la si mette in preventivo, ma appare davvero mastodontico il numero dei chilometri percorsi e dei palloni recuperati, mandando in bambola anche un mastino come Gennaro Gattuso che soprattutto nella prima frazione di gioco non riesce a sbrigliare mai il bandolo della matassa.
Interessante, inoltre, è la fattura di gioco offerta da Obafemi Martins, che si può riassumere in un interessante numero statistico: mentre nei primi 45 minuti Adriano perde già ben 7 palloni (giocando piuttosto maluccio, forzando sempre la giocata di sinistro e apparendo quasi sempre prevedibile), il nigeriano chiude la prima frazione vantando un grande 0 nella casella delle palle perse, ma soprattutto apparendo guizzante, una vera spina nel fianco per la difesa milanista. E infatti è meritatissima la sua firma sul tabellino, dopo essere scattato in posizione regolare per ribadire col più classico dei tap-in la ribattuta di Dida su una sassata di Adriano, una di quelle che lo avevano reso famoso in quel periodo.
Essere interisti nei primi anni duemila significa anche aver diffidato da ogni sorta di ottimismo, e per questo, nonostante si giochi bene e si soffra il giusto, il colpo di testa vincente di Stam a pochi minuti dalla fine sembra solo il normale evolversi degli eventi per quelle stagioni lì, in cui le maglie nerazzurre erano state battute più volte non tanto dagli avversari ma dal fato e dal destino. Inoltre, per cercare di rimettere in piedi il match, i rossoneri avevano mandato in campo Christian Vieri. Si, proprio lui, l’uomo che aveva risolto l’ultimo derby interista, che con 123 gol aveva scritto il suo nome nella top 10 dei migliori bomber della storia nerazzurra, aveva varcato il Naviglio e si era accasato col diavolo.
I più romantici credono che in quel cambio di Ancelotti si sia celato lo switch della storia recente dell’Inter, che da amara si trasforma in radiosa.
Mentre il direttore di gara si porta quasi il fischietto alla bocca e la professoressa di geografia astronomica contempla le tracce a sorpresa che proporrà ai suoi allievi, gli scarpini di Adriano e di Vieri lasciarono contemporaneamente il contatto con il suolo.

C’è un munito gruppo di tifosi dell’Inter che non ha mai idolatrato Adriano e ha consegnato il cuore a ben altri campioni; quell’incocciata all’ultimo respiro di una stracittadina che stava diventando maledetta, però, la ricordano con affetto anche loro, perché fece riaffiorare quel dolce sapore di meritatissima rivalsa. E San Siro si tinse di nerazzurro.
Quando il giorno dopo ci ritrovammo ad affrontare il compito a sorpresa lo affrontammo con un sorriso e ci beccammo la più dolce delle insufficienze della nostra vita.
La terra continuava a girare intorno al sole nello stesso verso. Ma il vento, invece, stava cambiando.