Inter-Marsiglia, ritorno degli ottavi di Champions 2011/12. 91esimo minuto, Mandanda si appresta a battere un calcio di rinvio per provare a pareggiare il gol di Milito col quale i nerazzurri si erano portati in vantaggio. Parte la traiettoria, apparentemente sembra un pallone di facile lettura per Lucio che però non riesce a darsi lo stacco e rimane ancorato al terreno. Brandao controlla il pallone con la schiena (?), si gira verso la porta e con un sinistro secco anticipa la scivolata di Samuel e il tuffo di Julio Cesar il quale non può far altro che raccogliere il pallone dalla rete. Il risultato di quella partita, in realtà, sarà 2 a 1 per l’Inter grazie al rigore messo a segno da Pazzini qualche minuto più tardi ma a poco servirà perché l’1 a 0 con il quale i francesi avevano regolato i conti all’andata condannò i nerazzurri a lasciare la Champions.
Quell’Inter-Marsiglia è stata l’ultima partita dei nerazzurri in Champions dato che da quel 13 Marzo 2012, per i successivi 6 anni, i nerazzurri non sarebbero più riusciti a piazzarsi nei primi 3 posti.
Tralasciando ciò che è successo in questi 6 lunghissimi anni l’Inter, in questa stagione, grazie al gol di Vecino e all’allargamento da 3 a 4 del numero di squadre italiane ammesse alla fase a gironi della più prestigiosa coppa europea, potrà tornare a respirare aria di Champions.
Il girone nel quale sono stati sorteggiati i nerazzurri non è, di certo, uno dei più abbordabili ma, del resto, partendo dalla quarta fascia non si potevano avere grandi aspettative da questo punto di vista. Barcelona, Tottenham e Psv saranno gli avversari coi quali l’Inter dovrà confrontarsi.
La prima delle 6 partite si svolgerà a San Siro il prossimo 18 Settembre contro gli Spurs. Per arrivare preparati alla sfida, in questo articolo, proveremo a tracciare un profilo della squadra inglese allenata da Mauricio Pochettino.
El Jefe de Murphy
Per analizzare il Tottenham bisogna, innanzitutto, cercare di capire che tipo di allenatore sia Pochettino. Nato nella città argentina di Murphy il 2 Marzo del 1972, Mauricio Roberto Pochettino Trossero, debutta nel calcio professionistico a 16 anni nei Newell’s Old Boys al tempo allenati da un certo Marcelo Bielsa (non è un caso che le sue squadre assomiglino molto, come principi di gioco, a quelle del Loco). Nel 1994 lascia la madrepatria e si accasa all’Espanyol dove rimarrà fino al 2006, esperienza inframezzata da 11 presenze e un gol con il Bordeaux. Nel 2008 ottiene il patentino di allenatore e l’anno seguente diventa il tecnico della stessa squadra che lo aveva convinto a sbarcare in Europa. A Barcelona rimane 4 anni, poi sarà il turno del Southampton e infine arriviamo ai giorni nostri quando, nel 2014, El Jefe (il Sergente, come viene soprannominato) assume la guida tecnica del Tottenham.
Durante la sua prima stagione a Londra, gli Spurs arrivano quinti ma non si vede ancora la mano del nuovo tecnico. In particolare, ad essere messa sotto la lente d’ingrandimento è la difficoltà della squadra ad effettuare un pressing efficace. Il dato che più balza agli occhi, nonostante un dignitoso quinto posto, riguarda il numero di reti subite: saranno ben 53 in campionato, un’enormità per chi vuole puntare a raggiungere posti da podio. Anche il dato sugli expected goals subiti confermava una certa vulnerabilità difensiva. Solo West Ham (20°), Burnley (19°) e West Ham (12°) avevano fatto peggio.
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Il 3 a 0 con il quale il Manchester United sconfisse il Tottenham nel 2014/15. Nel primo gol si può notare che, nonostante la superiorità numerica, il malposizionamento della linea difensiva costò il gol del vantaggio dei Red Devils.
Una probabile causa di un rendimento così deludente, almeno dal punto di vista delle prestazioni, può essere imputato al fatto che i giocatori a disposizione non fossero completamente adatti al tipo di calcio proattivo richiesto dal tecnico argentino basato sul possesso palla e su un pressing molto aggressivo. Per questo motivo, nell’estate 2015, arrivano, tra gli altri: il coreano Son dal Bayer Leverkusen di Roger Schmidt (una delle squadre più aggressive e verticali del panorama europeo negli ultimi anni), Toby Alderweireld dall’Atletico Madrid e Kieran Trippier dal Burnley.
A fargli spazio, tra nomi più grossi ricordiamo: Soldado, Towsend, Paulinho, Capoue, Stambouli e Fazio.
Con un materiale tecnico più adatto alle richieste del proprio tecnico, gli Spurs cominciano a ingranare. Da quella stagione in poi, in Premier, i londinesi avrebbero conquistato due terzi posti e un secondo piazzamento nel 2016/17.
Le campagne in terra europea, invece non hanno avuto lo stesso successo: il bottino parla di un sedicesimo e un ottavo di Europa League mentre lo scorso anno alcune disattenzioni difensive contro la Juventus non gli hanno permesso di accedere ai quarti di Champions.
Per gli amanti delle statistiche, il grafico seguente riporta l’andamento degli expected goals e points durante il quadriennio targato Pochettino.
Dal primo al secondo anno sono migliorate sia la fase offensiva (dai 52 xG a favore si passa a 63) che, soprattutto, quella difensiva (gli xG hanno subito un calo di quasi il 35%) e l’aumento, anno per anno degli Expected points, è la testimonianza del buon lavoro fatto.

Nonostante i moduli utilizzati siano generalmente variati dal 4-2-3-1 ad un più abbottonato 3-1-4-2, gli Spurs hanno mantenuto costante nel tempo la loro idea di gioco riuscendo a tradurre in pratica i princìpi del proprio allenatore.
Il dominio del tempo e dello spazio
Per spiegare il Tottenham di Pochettino bisogna, innanzitutto, partire da due dimensioni fondamentali nel gioco del calcio: spazio e tempo. Per quanto riguarda il primo, infatti, gli Spurs si affidano a dei concetti spaziali molto simili a quelli di molte squadre che adottano il gioco di posizione (Juego de Posicion, in spagnolo). La generazione continua di triangoli e rombi tra i giocatori è essenziale per risalire il campo e per fornire al portatore più soluzioni di passaggio.

Un altro tratto caratteristico delle squadre di Pochettino è la fluidità con la quale si muovono i giocatori del triangolo (o quadrilatero) di centrocampo. Non è raro, infatti, vedere una delle due mezz’ali (rappresentate solitamente da una coppia tra Delle Alli, Eriksen, Son, Dier e Lamela) che si abbassa per aiutare in fase di costruzione mentre l’altra attacca la profondità o l’uomo/gli uomini davanti alla difesa (uno o due tra Dembele, Dier e Sissoko) portare pressione in avanti per recuperare il pallone il prima possibile.
L’altra dimensione che il Tottenham intende dominare è quella del tempo: lo scopo principale del pressing effettuato dagli uomini del tecnico argentino è, appunto, quello di non concedere agli avversari il tempo di costruire azioni manovrate e di posizionarsi per la costruzione dal basso costringendoli, spesso, al lancio lungo.
Il sistema di pressione messo a punto da Pochettino è parzialmente orientato verso l’uomo. Solitamente, infatti, gli Spurs fanno molta densità attorno al pallone: un giocatore va a disturbare il portatore mentre il posizionamento degli altri è funzionale a negargli quante più linee di passaggio possibili.
Il dominio del tempo e quello dello spazio si mischiano nel momento dei “trigger”, ovvero, quando gli avversari effettuano delle giocate particolari che scatenano le fasi di pressing più aggressivo. Uno di questi eventi avviene, ad esempio, quando l’avversario col pallone si trova con i piedi sulla linea laterale (perché avrà un raggio d’azione limitato di 180°) o quando c’è un retropassaggio al portiere.
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Alcuni esempi dei triggers che danno avvio alle azioni di pressing.
L’efficacia e l’intensità del pressing vengono misurate attraverso un indice chiamato PPDA (Passes Allowed per Defensive Action) il quale conta il numero di passaggi che la squadra avversaria riesce a compiere prima di essere interrotta da un tackle o un intercetto nel proprio terzo di campo. Quanto più basso è questo indicatore, tanto più le azioni di pressing saranno efficaci. Per rendere l’idea di quanto aggressiva sia la fase di riconquista del pallone, soprattutto all’inizio dell’azione avversaria, basti pensare che il Tottenham ha mantenuto, nei quattro anni di gestione Pochettino, costantemente, uno dei tre indici PPDA più bassi della Premier con una media di 7 passaggi concessi.
Per quanto riguarda la fase di attacco posizionale, il Tottenham preferisce costruire azioni pericolose prevalentemente dal centro più che dalle fasce. Le statistiche dicono, infatti, che solo Arsenal e Chelsea hanno avuto, nella scorsa Premier, un dominio superiore nella fase centrale del campo.
Un dato che, invece, apparentemente, sembra in controtendenza con questo è quello riferito al numero di cross per partita: l’anno scorso il Tottenham è stata la squadra che ne ha effettuati di più (22) tuttavia con un’efficacia solo del 19%, solo Huddersfield, Leicester e West Ham sono stati meno precisi in questo gesto tecnico.
Le armi che, invece, rendono imprevedibile la manovra degli Spurs sono la dinamicità e gli inserimenti in profondità dei trequartisti che, unite ai movimenti a rientrare di Kane, generano quelle rapide combinazioni palla a terra, letali per le difese avversarie.
Un esempio di quello che può succedere se si lascia giocare il Tottenham palla a terra: il gol di Davies nel match dello scorso anno contro il Newcastle merita di essere visto e rivisto.
Mentre i giocatori alle spalle della punta lavorano sul centro del campo, l’ampiezza del gioco è demandata ai terzini che giocano molto alti e, praticamente, sulla linea laterale. Questi hanno dei compiti più o meno offensivi a seconda che linea difensiva sia composta rispettivamente da 3 o 4 difensori. Nel primo caso, li ritroveremo entrambi oltre la linea di centrocampo mentre in presenza di soli due centrali, uno dei due esterni dovrà rimanere a copertura: a rimanere più alto è solitamente quello destro data la tendenza di Eriksen, trequartista di quella fascia, ad accentrarsi.
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Nella partita della scorsa stagione contro l’Everton, l’ampiezza veniva garantita da Aurier. Si può notare, invece, che sull’altra fascia, Davies rimaneva basso in copertura.
I difetti e la partita col Watford
I lati negativi di una strategia come quella del Tottenham che prevede dei meccanismi di recupero palla molto aggressivi emergono nel momento in cui gli avversari, soprattutto quelli molto dotati tecnicamente, riescono ad eludere le linee di pressione. Questo perché, al fine di garantire la densità attorno al portatore, gli Spurs si assumono consapevolmente il rischio di scoprire il lato debole. In quel caso, gli uomini di Pochettino si dimostrano molto vulnerabili ai cambi di gioco (una possibile soluzione adottata ultimamente per risolvere questo problema è quella che prevede l’utilizzo di una difesa a tre). Se poi, come accade a volte, la linea dei difensori, che si mantiene sempre molto alta, non si muove in maniera coordinata, sono dolori.
Dopo la vittoria all’Old Trafford contro un Manchester United in piena confusione tecnica e tattica, gli Spurs hanno affrontato il Watford, probabilmente la squadra inglese più in forma del momento.
In questa sfida gli Spurs hanno messo in luce ulteriori difficoltà legate sia alla produzione offensiva che al gioco aereo (entrambi i gol del Watford sono derivati da calcio d’angolo).
Il piano-gara messo a punto dal tecnico Javi Gracia prevedeva, in fase difensiva, una protezione particolare della zona centrale del campo (quella dalla quale solitamente il Tottenham crea le azioni più pericolose) unita a delle distanze molto corte tra i reparti per negare agli ospiti lo spazio per gli inserimenti e le combinazioni tra punte e trequartisti.
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Non riuscendo a costruire dal centro, gli Spurs devono, così, allargare il gioco sulla fascia.
Il Tottenham è stato, quindi, costretto ad affidarsi, soprattutto ai cross per far arrivare il pallone al centro dell’area: se ne potranno contare 32 al termine della gara.
Per dare ulteriore supporto a Kane, in tre delle ultime quattro partite, Pochettino gli ha affiancato una “falsa” punta come Lucas. In realtà, le combinazioni tra i due sono state quasi inesistenti come dimostra la mappa dei passaggi della sfida, in cui si può notare anche la posizione media di Kane sovrapposta a quella di Eriksen, a dimostrazione di quanto il centravanti inglese si sia abbassato per ricevere il pallone:
A leggere i dati della produzione offensiva degli ospiti sembra, quindi, che il piano messo in pratica da Javi Gracia abbia effettivamente funzionato: sono stati solo 2 i tiri nello specchio e, in generale, le opportunità avute dal Tottenham sono state di scarsa qualità come testimoniano i miseri 0.58 xG prodotti (gli Spurs sono passati in vantaggio solo grazie ad un autogol).
Il Watford, inoltre, è stato bravo a sfruttare 2 dei 3 corner conquistati anche se, complessivamente, i padroni di casa si sono dimostrati superiori sotto l’aspetto fisico (questo, in realtà, sembra un altro difetto strutturale della squadra di Pochettino). Nell’arco dei 90′, infatti, gli Hornets hanno vinto 26 duelli aerei contro i soli 15 degli avversari.
Nonostante questi piccoli problemi (senza i quali,però, probabilmente gli Spurs avrebbero conquistato qualche traguardo in più) il Tottenham si è confermato negli anni un team dotato di ottime individualità e allenato da un allenatore con precise idee di gioco abbinate ad una discreta flessibilità tattica e ad un temperamento da vero Jefe.
Il cammino dell’Inter in Champions sarà certamente difficile e impervio ma, d’altronde, è proprio partendo da una condizione di sfavoriti che gli uomini di Spalletti hanno saputo offrire prestazioni di livello e hanno dimostrato quella compattezza di squadra e quella determinazione necessarie per portare a casa il risultato.
Per l’immagine di copertina si ringrazia Getty Images.
I dati usati in questo articolo sono tratti da Whoscored e Understat.