Fischia il Trap: come giocava l’Inter dei Record

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C’è rabbia, delusione e tanta amarezza, perché è questo che si prova quando sei stato chiamato per portare una vittoria in un club che vuole rilanciarsi e, invece, dopo due anni grigi, è arrivata ancora una sconfitta, che ha causato l’eliminazione in Coppa Italia.

Giovanni Trapattoni sa di essere sul filo del rasoio: è arrivato all’Inter con la voglia di dimostrare di non essere stato soltanto un ingranaggio di quella Juventus con cui ha vinto sei scudetti, ma un allenatore vincente a prescindere dal contesto, anche lontano da Boniperti e Agnelli. I risultati, in effetti, non sono stati dei migliori, e non esclude l’ipotesi di essere sostituito.

Sente bussare alla porta e va ad aprire.

Baresi, Bergomi, Ferri, Zenga, Serena.

La delegazione dei senatori nerazzurri, capendo il momento difficile, decide di andare incontro al tecnico: “Non preoccuparti Mister; sei tu e solo tu il nostro allenatore. Tutta la squadra è con te”.

Il Trap sorride e riparte, il gruppo si compatta, si correggono gli errori tattici. Dalla visita di quella delegazione nasce una storia incredibile, la storia dell’Inter dei Record.

Contesto storico

Siamo sul finire degli anni ’80 e il calcio italiano sta per iniziare a vivere una delle sue epopee d’oro: finito il dominio delle inglesi in Europa, anche a causa dei provvedimenti Post-Heysel, le italiane si rilanciano a gran voce; il Napoli di Ferlaino può contare sulle prestazioni del campione del mondo Diego Armando Maradona e ha conquistato il primo scudetto della sua storia, ma la vera rivoluzione del gioco, sotto il profilo tattico, è rappresentata dal Milan dell’imprenditore Silvio Berlusconi, che ha affidato la panchina ad Arrigo Sacchi. Il tecnico rossonero schiera la sua squadra con una Zona totale, con il vecchio libero affiancato allo stopper e in linea con gli altri terzini, con la difesa costantemente alta e un pressing asfissiante ma organizzatissimo in fase di non possesso. Il fatto di avere in rosa anche calciatori tecnicamente sublimi come Gullit e Van Basten, in grado di risolvere anche le partite più rognose, aiuta eccome, anche se il modulo sacchiano risulta essere fin troppo dispendioso sotto il profilo atletico: tutte le squadre provano a imitare Sacchi ma non tutte le rose sono attrezzate per poter esprimere il gioco del Milan, nemmeno il Milan stesso, al punto che la corazzata rossonera brillerà in Europa, conquistando 2 Coppe Campioni consecutive, ma sarà spesso appannata in Italia, arrivando spesso lontano dalla vetta.

Di sicuro la zona, con i quattro difensori in linea. non fa per l’Inter di Giovanni Trapattoni, sulla panchina nerazzurra dal 1986, e lo si capisce proprio dall’eliminazione in Coppa Italia con la Fiorentina che causò la visita della delegazione. Il Trap, che è un uomo pragmatico, decide di fare un salto indietro applicando la cosiddetta Zona Mista, molto in voga in quel tempo in Italia: in fase di ripiegamento i centrocampisti marcano a zona, mentre i difensori, il più delle volte Bergomi e Brehme terzini e Ferri stopper, difenderanno a uomo, con Mandorlini staccato di qualche metro, libero da ogni sorta di marcatura.

Un puzzle costruito (quasi) per caso

È lecito sostenere, in uno sport in cui diventa di vitale importanza lo studio dei dettagli e la programmazione, che l’Inter dei record sia nata quasi per caso? Si tratta sicuramente di un’esagerazione, ma in parte è vero, perché mai come in questa situazione la componente aleatoria/casuale giocherà un ruolo fondamentale nella nascita dell’Inter dei Record.

Il Trap, infatti, un’idea di costruzione ce l’ha, ma trovare gli uomini adatti per metterla in piedi non sempre è facile.

Il 3 Novembre 1985 la Fiorentina batte l’Inter 3-0: due delle reti vengono realizzate da Passarella, che anche vestirà la maglia nerazzurra, mentre la restante la mette a segno il diciottenne Nicola Berti, che gioca nel ruolo di ala destra. È un contropiede bellissimo quello del giovane centrocampista viola che resta impresso nella memoria nerazzurra, in particolare del Presidente Pellegrini, che appena potrà affonderà il colpo decisivo per portarlo all’ombra del Duomo. Nel ruolo di ala destra, però. si è scelto anche Alessandro Bianchi dal Cesena, ma Trapattoni sarà bravissimo a trovare la mattonella ideale per Berti, dall’altro lato del campo ma non proprio a rivestire i panni dell’ala pura.

Il colpaccio di mercato è Lothar Matthaus, proveniente dal Bayern Monaco, già vincitore di tre campionati in Germania, e lo stesso panzer tedesco premerà per portare in nerazzurro il terzino sinistro Andy Brehme, finalista mondiale ’86 con la Germania, ma preso a prezzo di saldo e che farà fare il salto alla squadra sia in termini qualitativi che in termini quantitativi, oltre che per mentalità.

Brehme preso quasi per caso è un favore del destino alla causa nerazzurra, ma non il solo: Trapattoni e la società hanno individuato in Rabah Madjer, che col Porto ha vinto la Coppa dei Campioni realizzando in finale uno splendido gol di tacco, l’identikit ideale da affiancare a Aldo Serena per la coppia d’attacco. L’algerino viene presentato ufficialmente alla stampa, ma le visite mediche gli riscontrano un problema muscolare che farà saltare l’affare e costringerà l’Inter a virare su Ramon Diaz, preso in prestito dalla Fiorentina. L’argentino si complementa alla perfezione con Serena, realizza 12 gol e confeziona un mucchio di assist, divenendo una delle pedine fondamentali dello scudetto numero 13 della storia dell’Inter.

Con ben 5 innesti negli 11 titolari e il ritorno alla zona mista l’Inter raggiunge un invidiabile equilibrio: fortissima in difesa, letale in attacco (Serena capocannoniere e Diaz in doppia cifra) e con centrocampisti che, oltre a dare una mano nelle retrovie, trovano anche con insistenza la via del gol (12 reti complessive tra campionato e coppe per Lothar Matthaus, 9 per Nicola Berti). È questo il giusto mix per raggiungere il tricolore.

Un 4-4-2 atipico

Sarebbe bello avere a disposizione le heatmaps dell’epoca, perché quello che ne viene fuori è un 4-4-2 ma atipico: Bergomi e Brehme sono i due terzini, ma il primo riveste più il ruolo di marcatore mentre il secondo andrà avanti e indietro su tutta la fascia sinistra. Berti non è la vera e propria ala sinistra ma si accentra per lasciare spazio proprio alle sortite offensive del tedesco, mentre invece Bianchi, dall’altro lato del campo, veste i panni dell’esterno classico di centrocampo, guadagna il fondo per i cross e torna a difendere fino in area di rigore. Ne giova Serena in attacco, che coi cross del biondino proveniente dalla Baviera e dell’ex Cesena sfrutta al massimo le sue doti aeree e conquista il titolo di miglior marcatore della Serie A. Ferri in marcatura a uomo sugli attaccanti avversari, Mandorlini staccato dietro pronto a pulire le situazioni delicate, Matteoli è il regista di talento (Beppe Bergomi lo ha più volte definito il Pirlo degli anni ’80) mentre Lothar Matthaus è il leader tecnico e carismatico del gruppo. In porta l’estremo difensore della nazionale Walter Zenga, che viene insignito del titolo di miglior portiere del Mondo, che gli verrà confermato altre due volte in carriera, contribuisce a rendere imperforabile la retroguardia nerazzurra.

A passo di record

L’Inter gira, e lo fa fin dalla prima giornata, prendendosi la vetta della classifica. La seconda grande delusione stagionale riguarda la Coppa Uefa in cui si subisce una beffarda eliminazione dal Bayern Monaco: all’andata, in trasferta, Serena e Berti firmano uno storico 0-2, con il centrocampista che va in rete dopo una cavalcata di ben 68 metri, ma a San Siro i tedeschi si impongono per 1-3 e superano il turno.

Pochi giorni dopo si gioca a San Siro il derby contro il Milan di Sacchi.

Come eludere l’asfissiante pressing della compagine rossonera? Trapattoni risponde affidandosi ai lanci lunghi. Potrebbe sembrare una mossa da calcio antico, ma avendo a disposizione Serena, bravo a spizzicare il pallone di testa e a giocarla di sponda ai compagni, l’Inter trova il punto debole del Milan, proprio perché i lanci dalla difesa eludono il pressing del centrocampo milanista. Proprio Serena, con una frustata di testa su cross di Bergomi, a coronamento di un’azione da manuale, tutta di prima, realizza la rete che vale il derby e i due punti in classifica. L’Inter riconquista le certezze dopo la caduta europea e non troverà più nessun ostacolo sulla sua strada.

L’unica squadra che prova a tenere il passo dell’armata nerazzurra è il Napoli di Ottavio Bianchi e Maradona, ma il 28 maggio 1989, proprio al cospetto dei campani, l’Inter si cuce addosso matematicamente lo scudetto vincendo per 2-1: dopo essere passata in svantaggio con la sventola di Careca, il team del Trap prima pareggia con un tiro di Berti deviato da Fusi e poi ribalta definitivamente il risultato grazie alla botta di Matthaus che manda in visibilio San Siro e entra nella storia.

Impatto sociale

26 vittorie, 6 pareggi e solo 2 sconfitte, una a campionato già vinto; 58 punti, ancora record imbattuto per i campionati a 18 squadre.

L’Inter del Trap, l’Inter dei Record, l’Inter dei tedeschi… la squadra di fine anni ’80 e inizio ’90 è un brand riconosciuto sotto diversi marchi, ed è ancora oggi una delle squadre nerazzurre più amate dai sostenitori. L’anno successivo Ramon Diaz (che non era di proprietà dell’Inter) fu sostituito da Jurgen Klinsmann, attaccante in valore assoluto più forte e completo dell’argentino, ma meno adatto a giocare in coppia con Aldo Serena. La corsa alla riconferma in Italia sfuggirà due volte, la seconda in maniera bruciante, in favore della Sampdoria di Vialli e Mancini. Arriverà invece una fantastica Coppa Uefa, la prima della storia dell’Inter, che torna ad alzare al cielo un trofeo continentale per la prima volta dopo l’epopea di Helenio Herrera.

Quell’Inter, che ha giocato un calcio a tratti spettacolare ma quasi sempre pragmatico, è una squadra figlia del suo tempo. Meno spettacolare del Milan, con minor impatto rivoluzionario sotto il profilo tattico, ha comunque battuto diverse volte i rossoneri sul campo ed è finita sopra in campionato 2 volte in 3 anni.

Poteva vincere di più?

Si, ma non passi il luogo comune che abbia vinto poco: 1 Scudetto, 1 Supercoppa Italiana e 1 Coppa Uefa in tre anni sono un bottino niente male per gli standard dell’epoca. Essendo una squadra figlia degli anni ’80 ha dovuto subire una frenata nel palmares dovuta a quei regolamenti che all’epoca già sembravano vetusti e che, infatti, di lì a poco sarebbero stati ritoccati. Non ha vinto la Champions, ma l’ha giocata una volta sola, venendo eliminata al primo turno dal Malmoe in una sfida andata e ritorno. Stava succedendo la stessa cosa anche al Milan l’anno prima, poi salvato in extremis dal nebbione di Belgrado (anche in quel caso i regolamenti dell’epoca giocarono un ruolo primario).

Ecco, il rimpianto di quella squadra, forse, è stato proprio questo: sarebbe stato davvero interessante vedere come si sarebbe comportata in una Champions League a cui avevano accesso le prime 4 (e quindi partecipando praticamente tutti gli anni), con gironi di qualificazione all’italiana come adesso e non con turni da andata e ritorno fin dall’inizio, col rischio di poter incontrare squadre già avanti con la preparazione.

Non ci è dato sapere, ma il dubbio resta.

Quel che è certo, invece, è che a 30 anni di distanza gli eroi di quell’annata sono ancora nel cuore di tutti, ricordati alla stregua, se non di più, di tanti altri che hanno un palmares molto più ricco.

Il ché certifica un assunto che con lo sport, e il calcio in particolare, va a braccetto: gli attacchi vincono le partite, le difese vincono i campionati.

Ma la priorità sui ricordi, quella, la vince solo chi è in grado di emozionare.

 

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